RISTORANTE PIERROT - CASTELVETRANO - SELINUNTE (TP)


Sciacca

Sciacca è un comune della provincia di Agrigento. È una città di mare, turistica e termale. Ricca di monumenti e chiese, è nota fra l'altro per il suo storico carnevale. La cittadina di Sciacca si trova sulla costa del Canale di Sicilia tra le foci del fiume Platani e Belice, a circa 65 metri sul livello del mare: ad est s’innalza il Monte San Calogero alto 386 metri, alle cui falde scaturiscono, per un percorso di circa sei chilometri, le famose acque termali. È situata a forma di anfiteatro sul mare a mezzogiorno della Sicilia, di fronte all'isola di Pantelleria e Tunisi, a metà strada tra le rovine di Selinunte, Eraclea Minoa, ed Agrigento. Secondo lo storico Savasta (1843) il nome di Sciacca si scriveva con la lettera X, cioè Xacca derivato da Xech, dal nome saraceno Xech, che sta per Signora e Governatrice. Xechi erano, inoltre, chiamati dai Saraceni i governatori delle piazze come attesta il Fazello (1498-1570). Secondo altri Xacca deriva da Xach che vuol dire Mercurio (forse per un famoso tempio dedicato a questa divinità), oppure Pomona (dea dell'abbondanza). Poi in latino si scrisse Sacca. Altre spiegazioni sul suo nome le diedero gli studiosi Licata (1881) e Ciaccio (1900). La più recente, comunque, la si deve al Sacco (1925), secondo il quale il vocabolo Sciacca non è altro che un participio femminile attivo della prima coniugazione del verbo sordo (arabo) Saqqua che porta l'idea separare, dividere, fendere. Lo stesso autore i riferisce che Sciacca è stata così chiamata perché sin dall'inizio del dominio musulmano segnò il confine che separava due province o distretti o contrade. Il fatto che Sciacca si trovava quasi a metà strada fra Marsala e Girgenti giustifica, secondo lo studioso, tale designazione da parte dei conquistatori africani. Lo stesso Michele Amari non dubita sull'origine araba del nome. La tesi sopra descritta non ha trovato però conferma da parte di Giovanni Alessio (1938), secondo il quale la teoria sopraccitata è valida per un corso d'acqua o una catena montuosa, ma non per un centro abitato. Diversi studiosi negli ultimi anni ritengono che il suo nome derivi dall'arabo "Syac", che significa "bagno"; altri da "al Saqquah", risalente al culto per il dio siriano "Shai al Quaaum".

ORIGINI
Le origini di Sciacca sono antichissime, probabilmente al tempo dei Sicani o dei Fenici. Nel VII a. C., secondo Tucidide, gli abitanti di Selinunte avevano costruito, come confine del loro territorio, un castello che prese il nome di Terme Selinuntine. Le prime testimonianze che il territorio di Sciacca fosse abitato nella preistoria sono convalidate dai reperti di scheletri umani e da alcuni massi intagliati, che probabilmente servivano per sedersi o dormire. Alcuni segni grafici, meglio visibili nel periodo in cui visse il Fazello, si sono quasi cancellati, ma recenti studi ne hanno confermato l'esistenza. Questi importantissimi segnali di civiltà remota si sono trovati nella Grotta Stufa, sulla vetta del Monte Cronio, odierno Monte san Calogero. Sembra certo, pertanto, che sin dai tempi più antichi, l'uomo abbia trovato in questo monte il sollievo che scaturiva dalle sue sorgenti. Secondo la leggenda, i Bagni a vapore (le cosiddette stufe di San Calogero) sul Monte Cronio sarebbero stati impiantati da Dedalo circa mille anni prima dell'era cristiana. Costui, fuggito da Creta per paura che Minosse lo trucidasse, giunse in Sicilia dove venne accolto da Cocalo, re sicano che viveva nella città di Inico. Grato per l'ospitalità ricevuta, Dedalo costruì per il re il Castello di Camico su una cima di difficile accesso, nel quale il sovrano custodì i suoi tesori. Minosse, venuto a conoscenza del nascondiglio di Dedalo, raggiunse la Sicilia, in territorio agrigentino, presso la città che dallo stesso prese il nome di Minoa. Subito dopo, inviò dei messi a Cocalo affinché gli consegnassero il fuggiasco. Cocalo accettò la proposta e invitò Minosse al suo castello, ma mentre questi fece il bagno, lo fece soffocare dalle sue figlie, restituendo il cadavere al suo popolo e giustificando la morte del re come se fosse stata causata dall'essere scivolato nell'acqua calda. Le ceramiche ritrovate nelle grotte del Monte Cronio, risalenti al periodo di transizione fra l'età della pietra e quella del bronzo, fanno ritenere che la città di Cocalo fosse posta in questo sito. Secondo accreditati storici, la spedizione militare in Sicilia di Minosse, conclusasi con la sua uccisione, trova la sua spiegazione nel tentativo del re cretese di conquistare quella città, così ricca di acque termali, luogo di culto sacro a Cocalo, supremo sacerdote del dio delle acque. Poche sono le notizie storiche certe. I Saccensi – così vengono chiamati gli abitanti di Sciacca – ritengono che l'antica città fosse ubicata nella valle formata dal Monte Nadore e dal Monte San Calogero, a circa sei chilometri dall'odierna cittadina. In questo posto sono venuti alla luce avanzi di fondamenta di grandi dimensioni. Ciò confermerebbe l'esistenza dell'antica città abitata da popolazioni sicane. Le iscrizioni fenicie, invece, confermerebbero il passaggio dei Fenici.

CENNI STORICI
Con la colonizzazione greca, capitanata da ntoniu pipa, i selinuntini probabilmente formarono un agglomerato urbano che per le caratteristiche del luogo ricco di acque minerali chiamarono Terme Selinuntine. Ciò si suppone che sia avvenuto non molto tempo dopo la fondazione della stessa Selinunte. Il sito si trova nell'odierna parte orientale di Sciacca. Questa parte di territorio assommava le tre caratteristiche principali che la resero famosa, e che furono la ragione della continuazione della sua esistenza: i bagni della valle, le officine di ceramisti e le fosse scavate nella roccia per la conservazione del grano.
Facendo parte del territorio di Selinunte, Terme Selinuntine subì le stesse vicende storiche. Con la sua caduta nel 409 a.C. in mano cartaginese, Terme Selinuntine accolse parte della popolazione scampata alle distruzioni della città, e fu anche teatro di due importantissime battaglie durante la dominazione greco-punica. La prima battaglia, avvenuta nel 383 a.C., è stata quella della Cabala in cui Dionisio di Siracusa ebbe la meglio sui Cartaginesi. Secondo la ricostruzione di alcuni storici venne ucciso il duce Magone (tesi non condivisa dalle fonti ufficiali, secondo le quali Magone perì durante il viaggiò di ritorno in Africa) il quale fu sepolto nell'attuale contrada che porta il suo nome col titolo di Baronia. Esistono delle pietre a forma di cono che gli stessi storici hanno indicato come monumento funebre eretto dai Cartaginesi per ricordare il loro capo.
Nella seconda battaglia, quella di Cronio (avvenuta dov’era ubicata l'antica città, come già ricordato, nella valle fra il Nadore e San Calogero) si ebbe nel 378 a.C. ed Imilcone, figlio di Magone, riuscì a conquistare con uno stratagemma a danno di Dionisio il territorio selinuntino e quello agrigentino, raggiungendo i confini del fiume Alico.
A tal proposito Pollieno ci racconta che Imilcone aveva posto il suo quartiere generale nella città di Cronio, i cui abitanti erano favorevoli ad arrendersi. Ciò però non avvenne perché furono ostacolati dai generali di Dionisio. Imilcone però non si arrese ed, approfittando del vento contrario ai suoi nemici che si erano stabiliti nei pressi della città, incendiò il bosco che li divideva. In questo modo il fumo gli permise d'entrare in città senza essere notato dai capi siracusani.
Le guerre fra le due popolazioni, siceliota e punica, videro in sostanza il territorio di Terme Selinuntine attraversato dagli eserciti di Dionisio, Timoleone, Agatocle e Pirro.
Nel III secolo d.C. Terme Selinuntine venne chiamata Aquae Labodes e con i Romani, nel IV secolo d.C., divenne Stazione Postale per le comunicazioni con l'Impero. Successivamente la città venne rappresentata sulla carta geografica da un grande edificio di forma quadrangolare. Ciò fa supporre che nel periodo romano fosse divenuta molto importante, forse la sede principale direzionale delle Poste di tutta la Sicilia.
Nel 840 il centro di Sciacca venne occupato dagli Arabi, promettendo obbedienza e tributi: da allora si chiamò col nome attuale. Nel 860 fu distrutta Caltabellotta. Moltissimi profughi trovarono rifugio a Sciacca e il Vescovado fu trasferito sul Monte San Calogero ove aveva sede l'antica Crono. Durante questa dominazione, per la città furono anni prosperi per la sua popolazione. La città assurse grande importanza non solo per la sua felicissima posizione, ma soprattutto perché a metà strada fra due importantissime città, quali Mazara e Girgenti. In questo periodo divenne capoluogo delle Circoscrizioni Territoriali e poté godere dei pieni diritti di proprietà e di culto. Tra l'895 e il 1040 in Sicilia vi furono contrasti fra Arabi e Berberi, e la popolosa città di Sciacca subì le conseguenze dei suoi dominatori.
Il paese ad oriente era abitato dai Figulini, che sin d'allora erano conosciuti per la lavorazione della creta. A mezzogiorno e ponente soggiornavano gli Ebrei, poi la città s’estese ancora, e sorse una borgata che prese il nome di Rabato.
Nel 1087 Sciacca fu conquistata dai Normanni, i quali mantennero nel territorio le divisioni che avevano compiuto gli Arabi e la città continuò ad essere il capoluogo del suo territorio, rimanendo anche capitale delle vicine circoscrizioni territoriali.
Secondo lo storico arabo Edrisi, i confini erano delimitati nel modo seguente: ad oriente dal fiume Platani, ad occidente dal fiume Belice, a nord dalla catena di monti dopo Caltabellotta e a sud dal mare. Questi confini furono confermati successivamente dal Conte Ruggero I, al quale si deve la costruzione delle Fosse granarie del caricatore, la riorganizzazione del servizio navale e l'imposizione del dazio sul grano da esportare. Il caricatore, che si trovava a sud del Borgo della Cadda, rimase in funzione sino al 1336, quando ne venne costruito un altro fuori Porta del Mare.
Al conte Ruggero si deve anche la costruzione delle mura e dei bastioni della città, nonché l'edificazione del castello Vecchio. Fuori le mura restarono i tre vecchi sobborghi: quello dei Figuli, quello dei Musulmani detto Rabato e quello degli ebrei chiamato Cadda.
Sciacca, per lungo tempo, conservò il suo status di città demaniale, ad eccezione del periodo in cui il conte Ruggero la concesse in feudo alla figlia Giuditta (o Giulietta), sposa di Roberto Zamparrone.
A tal proposito si racconta che Giuditta era fuggita con Roberto Zamparrone contro la volontà del Conte, e per sfuggire alle ire del padre abbia trovato rifugio in una grotta sul Monte San Calogero. Il romita Mauro dell'ordine Cluneacense, che abitava su quel monte, chiese clemenza al Gran Conte, il quale perdonò i due fuggitivi che rientrarono al castello. Dopo aver ottenuto la dispensa del Papa, il conte Ruggero li unì in matrimonio. Le nozze si svolsero nella chiesa di San Pietro annessa al castello. Fu così che il nome di Giuditta venne legato alla città di Sciacca. Nello stemma, usato fino al 1860, Giuditta volle raffigurata Santa Maria Maddalena in mezzo a due leoni rampanti. Diverse sono state le interpretazioni sul suo significato. Una vede nella Madonna la stessa Giuditta, e nei due leoni il padre e il fratello Ruggero II. Un'altra vede nella Madonna la città di Sciacca, e nei due leoni i fiumi Belice e Platani. Lo stemma attuale che la città ha adottato è quello ritenuto anteriore al periodo di Giuditta. Raffigura un cavaliere con la sua armatura che corre verso il Castello delle tre Torri. Alcuni lo personificano in Agatocle. A Giuditta si deve la costruzione di alcune chiese ed il Monastero delle Giummare. La sua morte avvenne tra il 1134 e il 1136. Fra gli abitanti di Sciacca è sempre viva la sua memoria e da molti è ricordata come la seconda fondatrice della città.
Durante il periodo svevo in Sicilia, Sciacca ottenne parecchi privilegi, come venivano riconosciuti in tutte le città demaniali. Il Comune venne retto da un Magistrato, avente il diritto d'inviare i propri rappresentanti al Parlamento. Nel 1231 il paese divenne centro commerciale per lo scambio delle merci all'ingrosso, autorizzato dal Governo: lo scambio delle merci al minuto venne affidato ad un giurato deputato. I beni della contessa Giuditta passarono a Federico II che divenne erede anche dei feudi normanni. Questi confermò i privilegi di cui godeva la città. A lui si deve anche l'origine di alcuni casali fra i quali quello di Burgimilluso che poi divenne Casale di Menfi. A Federico II successe il figlio Corrado II il quale, malgrado fosse contrastato dal Papato, riuscì a regnare in Sicilia fino al 1254, anno della sua morte. A quest’ultimo subentrò Manfredi che, incoronato re nel 1258, mantenne Sciacca città demaniale con tutti i suoi privilegi. Con la morte di Manfredi, e di Corradino scoraggiò il governatore angioino che si ritirò a Messina. Nel 1268 Sciacca fu assediata da Carlo I d'Angiò, e l'anno successivo s’arrese. In questo periodo la città fu sottoposta a soprusi d'ogni sorta. Con la rivolta del Vespro il paese si ribellò e si costituì in Comune libero. Capitano fu eletto Isidoro Incisa, di nobile famiglia. Quando Pietro III d'Aragona, nella Chiesa della Martorana a Palermo, fu proclamato re di Sicilia nel 1282, Sciacca contribuì a dare il suo aiuto con le sue galere a sostegno delle lunghe guerre contro gli Angioini. Fra le tante, per importanza, va ricordata la partecipazione di Sciacca e il suo naviglio alla battaglia di Ponza nel 1300: in quell'occasione fu fatto prigioniero il capitano della città Isidoro Incisa, che poi riuscì a fuggire e mettersi in salvo. Un'altra grande battaglia si combatté proprio a Sciacca nel 1302 e il suo assedio durò quarantacinque giorni: gli abitanti resistettero fino all'arrivo delle truppe di Federico II. Intanto nel campo nemico era scoppiata una pestilenza che decimò l'esercito, costringendo Carlo II a ritirarsi e chiedere la pace: venne firmata nel 1302 a Caltabellotta. Il re, per riconoscenza dell'eroismo dimostrato, concesse l'immunità dei dazi doganali e da ogni altro diritto della regia curia sulle merci importate ed esportate, cosicché Sciacca divenne città franca.
Rotta la pace di Caltabellotta nel 1312, ebbero nuovamente inizio gli assalti degli Angioini in Sicilia, durati fino al 1373. Durante questo periodo Sciacca divenne parecchie volte teatro di guerra e fu cinta d'assedio dalle truppe angioine. Si difese eroicamente ma non poté evitare i contrasti con fra le potenti nobili famiglie che parteggiavano per le due dinastie. In un primo momento ebbero la meglio i Polizzi e i Chiaramonte sui Peralta e i Ventimiglia, e Sciacca si schierò con gli Angioini a scapito degli Aragonesi. Successivamente, nel 1355, la città passò in mano ai Peralta e nel 1360, quando la principessa Costanza d'Aragona si fermò a Sciacca per poi ripartire e raggiungere il consorte Federico III a Catania, furono gli stessi Peralta a dimostrare che non era cessata la loro solidarietà verso gli aragonese. In questo anni a Sciacca venne istituita la carica di Capitano di guerra per la difesa della città. Tale compito fu affidato a Guglielmo Peralta che divenne, durante il regno di Federico III, il più potente e importante signore di Sciacca e del territorio circostante. Il Peralta, oltre ad essere conte di Caltabellotta, poiché era apparentato col re, possedeva vasti territori avuti in eredità, per occupazione o per concessione regia. Dal re aveva ottenuto la rappresentanza della Magna Curia, cioè l'istituzione di una suprema autorità con funzioni giudiziarie inappellabili.
Forte di questo appoggio, il Peralta riuscì persino a battere moneta ed istituire una vera zecca. Grazie all'appoggio di altre nobili famiglie riuscì a consolidare il suo potere tanto da essere investito dal re della facoltà delle concessioni feudali. Alla morte del re, il Peralta fu uno dei quattro vicari per la tutela della regina Maria di Sicilia appena quindicenne. Gli altri tre vicari erano gli Alagona, i Chiaramonte e i Ventimiglia. Nel 1390 la regina Maria si sposava col re Martino il Giovane, ma i vicari e i baroni di Sicilia riunitisi a Castronovoyy stabilivano di ricevere la regina Maria ma non Martino, condividendo la volontà del papato che consideravano gli aragonesi scismatici. Nel 1392 i sovrani giungevano a Trapani e Guglielmo Peralta col figlio Nicolò ed altri nobili si recavano per rendergli omaggio. Dei tre vicari si schierava contro soltanto Chiaramonte e così Sciacca ebbe confermati tutti i privilegi concessi dai sovrani precedenti. L'arresto e la condanna a morte del Chiaramonte e il fermo dell'Alagona provocavano però una rivolta popolare. Il re Martino chiedeva al Peralta il suo appoggio per domare i rivoltosi ma questi in un primo momento si dimostrò contrario. Il figlio Nicolò, poiché la rivolta s’allargava a macchia di leopardo verso l'entroterra, non tardava a convincere il padre ad affrontare le truppe catalane comandate da Don Pietro Queralt. Nel territorio di Sambuca del 1395 ebbe luogo una disastrosa battaglia e, malgrado la sconfitta subita dal Peralta, le truppe nemiche non osarono avvicinarsi a Sciacca. Poco dopo moriva il vecchio Guglielmo. Nel periodo in cui tenne il potere Guglielmo Peralta, a Sciacca venne realizzato il Castello Nuovo, una vera fortezza inaccessibile costruita sulla roccia. Inseguito fu detto Castello dei Luna perché da loro abitato. Il giovane Nicolò, figlio di Guglielmo, mantenne la carica di capitano della città, e la carica di guardiano del Castello Vecchio e di quello Nuovo.
Nel 1391 moriva anche Nicolò, e il re Martino, recatosi a Sciacca per i funerali, alloggiò nel Castello Nuovo. Per assicurarsi la continuità dei buoni rapporti, stabilì di dare in moglie allo zio conte Artale Luna la figlia di Nicolò, Margherita Peralta, malgrado l'amore della giovane era per il coetaneo Perollo, figlio di un'altra nobile famiglia. Le nozze vennero celebrate a Sciacca nel 1400 alla presenza del re, e furono causa di un triste episodio che passò alla storia come Caso di Sciacca. Infatti, la guerra civile che si scatenò ebbe origine dalle controversie sorte tra la famiglia dei Perollo d'origine normanna e quella dei Luna d'origine catalana durante il regno di Alfonso V in Sicilia, durato dal 1400 al 1529 con immani conseguenze, riducendo la città in uno stato di miseria ed abbandono. Dopo le suddette nozze, la famiglia Perollo non sopportò la prepotenza del sovrano e scatenò un odio viscerale verso la nobiltà catalana e straniera alla quale il Luna apparteneva. A questo odio dei Perollo s’aggiunge quello di Bernardo Cabrera, conte di Modica, che avrebbe pure preteso di fare sposare Margherita al figlio, in modo da poter ancora di più ampliare il suo controllo territoriale. Deceduti Martino il Vecchio e il figlio Martino il Giovane, in Sicilia gli abitanti aspiravano ad avere un loro re. Si erano intanto formati tre fazioni: una catalana capeggiata da Bernardo Cabrera, un'altra dalla regina Bianca, moglie di Martino il Giovane che il re aveva sposato dopo la morte di Maria, e un'altra ancora della nobiltà siciliana a cui aderivano molti Comuni che si erano ribellati alla regina. Il conte Luna seguiva la fazione di Cabrera, ma gli abitanti di Sciacca rimasero fedeli alla regina. Nel 1411 il Cabrera occupava la città, ma no il Castello Vecchio, difeso ad oltranza da Pietro Garro. Un intervento della regina liberò il castello e la città. Nel 1416, il prestigio della famiglia Peralta passò ad Antonio, il figlio del Luna, che ebbe dal re Alfonso la concessione della castellania di Sciacca. Dava cioè il massimo onore oltre il diritto di dimora nel Castello Vecchio.
Durante il periodo in cui regnò Alfonso V Sciacca, grazie alla sua posizione, divenne una delle città più importanti della Sicilia. Ma ancora una volta le rivalità tra le famiglie Luna e Perollo turbarono la sua prosperità. Tale rivalità, estesasi alla popolazione, culminò nella lite che i Luna e i Perollo ebbero per la rivendicazione della Baronia di San Bartolomeo. Nel 1438 intanto la città veniva venduta a Giovanni Ventimiglia, marchese di Geraci, ma nel 1443 veniva riscattata. Nel 1448 l'intervento del viceré faceva concordare una pace tra le famiglie Luna e Petrollo, ma non passò molto tempo che fu violata. L'occasione s’ebbe nel 1459 quando Antonio Luna stava partecipando alla processione della Santa Spina di Cristo. Giunto dinanzi al palazzo dei Perollo, il Luna insultò il rivale pubblicamente, forse convinto che non venisse ascoltato vedendo le finestre chiuse. Le imposte s’aprirono improvvisamente e Pietro Perollo raggiunse il corteo ferendo il rivale. I suoi uomini incendiarono le case dei Luna, portarono lo scompiglio tra i fedeli e si rifugiarono nel castello di Geraci. Dopo quest’atto terroristico, il viceré inviò a Sciacca il luogotenente del Maestro Giustiziere, Giacomo Costanzo, per istruire un processo e punire i fautori di questi fatti. Ritornato da Caltabellotta, Antonio Luna scatenò la sua vendetta, facendo assassinare familiari e parenti dei Perollo, distruggendo le loro case, e persino la città subì gravi danni. Il re Giovanni I, succeduto ad Alfonso V, per evitare nuove sciagure alla città, esiliò i Luna e i Perollo dal regno e confiscò tutti i loro beni. Nel 1494 Ferdinando V insigniva la città col titolo di Degna per la sua gloriosa storia, il suo vasto territorio e per la sua bellezza. Giacomo Perollo diveniva potente signore e otteneva la carica d'amministrare la giustizia e le attività del Comune. Diveniva anche deputato al Parlamento.
Ma gli odi non si erano assopiti e nel 1528 quando vennero uccisi sette componenti della banda di Marco Lucchesi, accanito nemico del Perollo, riesposero le rivalità. Non molto tempo dopo l'eccidio degli uomini di Lucchesi, giungeva a Sciacca il corsaro Sina Bassà il quale offriva il riscatto del barone di Solanto. Respinte le offerte del Luna accoglieva quelle del Perollo. Il Luna oer vendicarsi dell'affronto, nel 1529, con un esercito d'un migliaio di uomini cinse d'assedio ed entrò nel Castello Vecchio. Il Perollo, tradito da una spia, fu ucciso. I parenti però non s’arresero, ottenendo un decreto con il quale il Luna veniva condannato a morte ed i suoi beni confiscati. Fuggito, Il conte si recò a Roma per ottenere la clemenza di Carlo V e di Clemente VII ma, non essendogli accordata, si suicidò buttandosi nel Tevere. Nel 1542 gli abitanti Sciacca si rivoltarono contro le persecuzioni del Sant’uffizio, rivolgendosi al Parlamento per fermare gli inquisitori: l'abolizione in Sicilia avverrà due secoli dopo.
Il periodo intercorrente tra il 1554 e il 1712 a Sciacca è caratterizzato da terremoti, rivoluzioni, fame e miseria. Malgrado ciò sorgono chiese e nuovi palazzi, mentre Filippo II conferma Sciacca Urbs dignissima et fidelissima. Nel 1647 la città si ribella e vengono aboliti i dazi sul vino e sul macinato, non prima però che i manifestanti raggiungessero il Comune, incendiando l'archivio ed uccidendo il maestro notaro. Nel 1713 la Sicilia con Vittorio Amedeo II di Savoia riaveva il proprio re e così anche Sciacca festeggiava. Nel 1718 la Spagna mandava però la sua flotta per ristabilire il governo spagnolo in Sicilia e anche Sciacca si sottomise. Ciò provocò la reazione dell'Austria e la città fu messa nuovamente sott’assedio capitolando dopo tre giorni. Era il 1720 e il presidio spagnolo venne smantellato, cosicché Sciacca obbedì all'imperatore Carlo VI. Nel 1726 Carlo VI concludeva la pace con la città di Tripoli, Tunisi e Sciacca. Malgrado vivesse ancora nella miseria, venne agevolata nei suoi commerci in quanto venne evitato il pericolo dei corsari che infestavano i mari lungo quelle rotte. Nel 1734 Carlo di Borbone occupava la Sicilia ed a Sciacca veniva istituito il consolato del mare. La città si riprendeva dal suo torpore e venivano intensificati i traffici via mare, nonché via terra con la costruzione dell'arteria per Palermo. Nel 1759 a Carlo III di Borbone succedeva Ferdinando I, il quale conferì a Sciacca la facoltà di giudicare nelle cause civili e criminali. La Costituzione del 1820 aboliva i privilegi ed affermava l'uguaglianza dei cittadini. Alla città venne riconosciuto l'antico nome: Distretto di Selinunte con Sciacca capoluogo. Nel 1821, Ferdinando aboliva la Costituzione e Sciacca diveniva provincia di Girgenti. Sorta la carboneria, la città partecipò con i suoi patrioti alle rivolte per l'indipendenza dai Borboni. Nel 1860 giungeva Garibaldi a Marsala e Sciacca faceva sventolare nel palazzo comunale la bandiera tricolore. Acclamato dal popolo, veniva riconosciuto il costituito Comitato rivoluzionario, il quale dichiarava decaduto il governo borbonico e proclamata l'annessione al Regno d'Italia.

MONUMENTI
Sciacca conserva molte opere d'interesse artistico. Le sue mura, risalenti a varie fasi costruttive, rappresentano un complesso unitario. Sono molto spesse e quelle più recenti del 1550 si sovrapposero a quelle più antiche del 1330-1335 circa. Si chiamano ancora col nome del viceré Giovanni De Vega che li fece costruire e diresse i lavori.
Le tre porte d'accesso alla città sono tutte rimaneggiate. Porta Palermo – che si trova nei pressi della Piazza Sturzo e fu riedificata nel 1753 durante il Regno di Carlo III di Borbone – ha delle belle colonne in cima adornate da un gruppo scultoreo con una grande aquila, in stile barocco. La Porta San Salvatore, del XVI secolo, che si trova in Piazza Carmine, è ricca di belle sculture rinascimentali. La Porta San Calogero, che si trova nell'omonima piazza, è del 1536.

ARCHITETTURA RELIGIOSA
L'antica Cappella di San Giorgio dei Genovesi è stata costruita nel 1520 dai numerosi mercanti genovesi, residenti a Sciacca per curare i loro affari. Non è più officiata e si trova vicino il porto ed è in parte interrata. La Chiesa di Maria SS. del Soccorso o Duomo si trova in Piazza Don Minzioni e risale al XII secolo. Fondata da Giulietta (Giuditta) la Normanna, figlia del conte Ruggero, il suo rifacimento è stato eseguito nel 1656 su progetto di Michele Blasco. La chiesa ha tre ampie navate con monumentali archi in stile normanno. La facciata non è stata completata e mostra delle colonne e dei portali ad arco curve. Completano la decorazione della facciata tre sculture di Antonello e Domenico Gagini. All'interno si conservano numerose opere del 1400-1500 fra le quali una scultura di Antonello Gagini ed una statua, raffigurante la Madonna della Catena, attribuita a Francesco Laurana.
Nei pressi della Chiesa Madre si trova la chiesa di Sant’Antonio Abate, risalente al XV secolo. Appartiene invece al Cinquecento, anche se fu ristrutturata nel 1613, la Chiesa del Collegio, che si trova sulla via Roma. Ha un bellissimo portale a timpano triangolare e l'interno è ad unica navata con cappelle incassate. Nel presbiterio si trova una tela di Domenico Domenichino, mentre in una delle cappelle si trova una Madonna del 1655 di Michele Blasco.
Un altro bellissimo esempio d'architettura è la Chiesa di San Domenico e il suo Convento, risalenti al 1176 la prima e al 1742 il secondo. La chiesa, in stile barocco, ha una sola navata con otto cappelle: si trova in Corso Vittorio Emanuele. Al XII secolo appartiene la Chiesa del Carmine nell'omonima piazza, che incorpora la Chiesa del Salvatore. Col suo bellissimo rosone medievale.
In Piazza Carmine si trova anche la Chiesa di Santa Margherita del 1342 fatta erigere da Eleonora d'Aragona, moglie del Peralta. L'ultimo restauro si è completato nel 1994, dopo che la stessa chiesa venne rifatta nel 1595 con delle bellissime colonne angolari con architravi, fregi e cornici. È aperta al pubblico ma non al culto, per cui viene utilizzata per mostre, convegni e concerti. L'ingresso principale è catalano, mentre il portale marmoreo che si trova sulla destra viene attribuito a Laurana, realizzato nel 1468. L'interno, ad unica navata, è barocco e conserva stucchi policromati ed affreschi di Ferraro del XVII secolo. Sull'altare si trova un'icona in marmo del 1507-1512, una statua in legno del 1544, opera di Frigia, che raffigura Santa Margherita, ed un organo ligneo del 1641. Nella navata si trovano sei grandi riquadri e tanti medaglioni realizzati dal Portulani tra il 1529 e il 1530.Purtroppo sono da rilevale gli evidenti e stridenti contrasti e stonatunature architettoniche tra la suddetta chiesa e un orribile stabile degli anni 60 che insiste sul lato sinistro della pregevole chiesa.
La Chiesa dello Spasimo di Corso Vittorio Emanuele è del 1632 e nel vicino Convento si trova il Cortile del Palazzo Fazzello costruito nel Cinquecento. La Chiesa di San Michele, che si trova in Piazza Noceto, fu fondata da Guglielmo Peralta nel 1371 e poi venne ricostruita nel XVII secolo. Si conserva un portale con architrave ed un portale gotico. L'interno è a tre navate con colonne ed archi al centro. La chiesa conserva anche un crocifisso del Quattrocento, due acquasantiere del Cinqucento, una scultura ed un polittico del Cinquecento ed una statua seicentesca in legno di San Michele.
Nella stessa Piazza Noceto si trova la Chiesa di Santa Maria dell'Itria ed il suo monastero: sono state volute anch’esse dal Peralta. La chiesa (detta anche di Badia Grande) è del 1776, ma fu fondata nel 1380.
La Chiesa di San Nicolò La Latina, che si trova in Piazza San Nicolò, risalente al XII secolo, ha un bellissimo prospetto decorato, tipico dell'architettura arabo-normanna.
Più importante è la Chiesa di Santa Maria delle Giummare in via Valverde, voluta da Giuditta e rifatta nel XVI secolo dopo una prima erezione avvenuta nel 1103. La fiancheggiano due torri merlate. All'interno, ad unica navata, si trova sulla sinistra la cinquecentesca Cappella della Madonna delle Grazie. Da ammirare il rilievo dai San Gerolamo, un'acquasantiera del Quattrocento, un crocifisso cinquecentesco ed una Vergine col Bambino nell'altare maggiore attribuito a Laurana. Datata al 1753, la Chiesa di Sant’Agostino – che si trova alla fine di via Valverde – conserva all'interno una statua della Vergine di G. Gagini del 1538 e bellissimi portali barocchi.
Datata al XV secolo, la Chiesa di San Francesco – che si trova in via Agatocle – conserva bellissime pitture del saccense Rossi.
Altre chiese sono dedicate a: San Giuseppe (XVI secolo), San Vito (XVIII secolo), San Francesco di Paola (1627) ed il suo Convento del 1224 (adibito ad auditorium, sala congressi e mostre), Santa Caterina (1796), Santa Maria del Giglio (XVII secolo), Purgatorio (1691), San Pietro (1885), San Leonardo (1797), Santa Maria di Loreto (1930), Olivella (XIX secolo) Madonnuzza (1693).

ISOLA FERDINANDEA
A circa 26 miglia marine dalla costa di Sciacca, a pochi metri dalla superficie del mare sul cosidetto banco di Graham sorge un vulcano attivo che nel 1831 eruttò formando una piccola isola che venne chiamata Isola Ferdinandea.Il primo ad approdare sull' isola dopo alcuni primi tentativi falliti fu l' ammiraglio britannico James Graham che riusci' a piantarci sopra la bandiera britannica.Dopo qualche giorno una delegazione di cartografi francesi riusci' ad approdare e tracciare alcune piantine dell'isola.Questa delegazione battezzò l' isola con il nome di Julia.Dopo alcune settimane un' altra delegazione di geologi e cartografi borbonici riusci' a mettere piede sull' isola e tracciare altre piantine e battezzarono l'isola con il nome di Ferdinandea in onore al re delle due Sicile Ferdinando di Borbone.Le tre nazioni stavano ancora litigando per il possesso dell' isola,peraltro situata in mezzo al canale di Sicilia e quindi in una posizione estremamente strategica,che essa lascio' tutti di stucco inabissandosi tra flutti e vapori cinque mesi dopo.

ECONOMIA
Le fonti principali di reddito dell'economia di Sciacca sono il turismo e la pesca. Il suo porto moderno ospita circa cinquecento natanti tra pescherecci e piccole imbarcazioni, che quasi ogni anno scaricano oltre cinquemila tonnellate di pesce. La sua flotta peschereccia comprende circa duecento barche ed è la seconda in Sicilia dopo quella di Mazara del Vallo. Tale attività impegna, comprese le strutture a terra, quasi duemila persone con un fatturato annuo che supera i cinquanta miliardi. I tipi di pesca più note sono lo strascico, la sottocosta e il palangresi. La pesca più praticata è quella del pesce azzurro che, attraverso la lavorazione nelle sue industrie conserviere, viene esportato in tutto il mondo, facendo di Sciacca il primo produttore europeo. Un piccolo cantiere navale provvede alla realizzazione delle piccole e medie imbarcazioni.
Un altro settore portante per l'economia del posto è la produzione granaria, quella ortofrutticola, quella olearia e la vinicola. Numerose sono le cantine e gli oleifici, che esportano vini pregiati ed olio extravergine d'oliva in tutto il mondo. La zootecnia, dopo anni di crisi, finalmente sta avendo un forte incremento, soprattutto per la valorizzazione che ha avuto la "pecora del Belice".
Per quanto riguarda l'artigianato, le ceramiche rappresentano pure una fonte di reddito non indifferente per l'economia della città.La ceramica rappresenta il fiore all'occhiello della produzione artistica ed artigianale della ridente cittadina;note in Italia e all'estero, le sue maioliche sono in crescita anche agli esperti artigiani saccensi nelle cui botteghe hanno saputo realizzare opere d'elevato valore artistico. Piatti, vasi, anfore, statue, piastrelle e oggetti vari fanno bella mostra nei numerosi negozi del centro storico. I forni antichi, recentemente scoperti, fanno pensare che l'arte della ceramica a Sciacca abbia avuto inizio dal Trecento, se non prima. Tale attività fu continuata ed ampliata nei secoli successivi. Le sue numerose fornaci sono anche la testimonianza che la sua ceramica dominava i mercati della Sicilia occidentale e veniva esportata altrove. Nel XVI secolo molte mattonelle di Sciacca furono destinate ad abbellire tanti monumenti.
Le terme, il carnevale ed il mare sono i settori chiave per lo sviluppo turistico del paese. Grazie soprattutto al suo mare ed ai suoi lidi, la città sta vivendo quello sviluppo tanto sospirato che promette bene per un futuro migliore. Ad est il primo lido che s’incontra è quello dello Stazzone, un mare pieno di scogli e un'acqua limpida. Poi i lidi della Tonnara e della Foggia presentano fondali prevalentemente sabbiosi. In località San marco, Renella e Maragani s’alternano insenature ora rocciose ora sabbiose, ma che vengono considerate dai sub e dai bagnanti veri paradisi. Ad ovest si trova la spiaggia di Sovareto con sabbia finissima, quella di San Giorgio, Timpi Russi e Macauda.
Le tradizioni popolari fanno tesoro delle feste religiose, delle sagre e del teatro popolare. Anche queste sono divenute un richiamo turistico non da poco. Tra le feste religiose, è particolarmente importante le feste dell'Ascensione e di Pasqua, la festa campestre di San Calogero sul Monte Cronio e la festa di Mezz’agosto. Fra le sagre va ricordata quella del mare, che sin dal 1920 ha avuto svolgimento continuativo al porto, quasi sempre tra la fine di giugno e i primi di luglio. In quest’occasione la statua di San Pietro viene portata in processione in mare, seguita da una lunga fila d'imbarcazioni. Poi sul piazzale viene sistemata una grande padella con oltre cinquecento litri d'olio per soffriggere oltre cento cassette di gamberi. Tutti i presenti sono invitati alla grande frittura che viene consumata con pane e vino locale, a spese della Cooperativa dei pescatori, comprendente un migliaio di soci.
Il teatro popolare trova posto nell'Estate Saccense, una rassegna di spettacoli d'operetta, prosa ed arte varia.