Jesi
Marche

Jesi è un comune italiano di 40.500 abitanti della provincia di Ancona nelle Marche. Jesi è situata nella bassa valle dell'Esino. Si estende su una superficie di 107 km², ad un'altitudine di 97 m s.l.m.. Nonostante la vicinanza al mare, Jesi presenta un clima alquanto continentale. Il clima è caratterizzato da inverni freddi e umidi, a volte nevosi. In gennaio spesso tirano venti di tramontana (coda di bora). Si ricordano per esempio fra gli inverni rigidi quelli del 1995 e del 1996 dove si contavano 50-60 cm di neve e una temperatura notturna di -12 °C. Le estati sono umide e afose, caratterizzate per lo più da una totale assenza dei venti. Nel 2003 si registrarono picchi record di 43 °C. Alla fine dell'estate (agosto) spesso si verificano violenti temporali con possibili grandinate. Le stagioni mediane, fresche sui rilievi, e temperato sulla fascia costiera, possono rivelarsi anche molto piovose (aprile-maggio) e con presenza di dense foschie e nebbie, in particolare nei mesi autunnali.

ETIMOLOGIA
Anticamente Aesis, da ais, acqua, fonte.

DA VEDERE
Mura. La cinta fortificata, tra le meglio conservate dell'intera regione, racchiude il nucleo medievale della città, di compatta forma trapezoidale, per un perimetro di circa 1,5 km. Vennero erette nel XIV secolo sul tracciato delle più antiche mura romane, rappresentando il simbolo della libertà Comunale. Nel XV secolo vennero quasi totalmente ricostruite (fa eccezione la parte detta del "Montirozzo") ad opera dei famosi architetti militari Baccio Pontelli e Francesco di Giorgio Martini. Sono costituite da alti muraglioni cortinati con beccatelli, rinforzati da torrioni e aperte da sette porte (oggi ne restano aperte solo quattro). La conformazione delle mura varia in rapporto alla morfologia del terreno che presenta livelli di quota differenziati, dalla pianura (66 m slm.) alla collina (96 m slm.). Le mura della parte meridionale, racchiuse tra il Torrione Rotondo e il Torrione di Mezzogiorno (costruito nel 1454), erano fiancheggiate da un fossato, oggi interrato, e si presentano "basse", caratterizzate da semplici cortine verticali con beccatelli e caditoie. Si fanno più alte e imponenti sul versante orientale, poste sui pendii, che hanno cortine rafforzate con scarpata per una maggior difesa contro le armi da fuoco. Sulla parte più alta, quella nord-occidentale, che si apriva sul prolungamento della città "nuova", la cosiddetta "Addizione di Terravecchia", sorgeva la Rocca Pontelliana, eretta su progetto di Baccio Pontelli, appunto, a partire dal 1487 e già demolita nel 1527, l'ultimo torrione (di fianco l'Arco del Magistrato) venne smantellato nel 1890.
Palazzo della Signoria. Uno dei più imponenti palazzi pubblici delle Marche, fu costruito tra il 1486 e il 1498 dal celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini. La facciata, al cui centro è un altorilievo che raffigura lo stemma della città (un leone rampante coronato), il portale della "Salara" e gli altri rilievi furono disegnati dal Martini ed eseguiti da Michele di Giovanni da Milano e dal figlio Alvise. La torre angolare venne molto sopraelevata nel 1661 e sormontata da cupola (come si può vedere raffigurata in quadri e stampe del tempo), ma purtroppo rovinò già nel 1666, la mancanza di fondi per la riedificazione la fece rimanere nello stato odierno. Il cortile porticato interno, con tre ordini di logge, sebbene l'ultimo non sia mai stato completato, presenta quattordici archetti sorretti da pilastri in mattoni rossi a vista e capitelli scanalati che si alzano per l'intero tracciato del cortile. In posizione arretrata rispetto al centro, c'è un pozzo costruito in pietra da Giovanni di Gabriele da Como. Nel secondo ordine, colonne in pietra d'Istria con capitelli corinzi, sorreggono le volte a crociera del loggiato e sono state disegnate da Andrea Sansovino, chiamato a Jesi nel luglio del 1519. All'interno ospita la "Biblioteca comunale Planettiana", fondata nel 1859, grazie alla donazione fatta dal marchese Angelo Ghislieri della propria scelta libreria, prende il nome dal prezioso fondo librario ed archivistico donato dalla famiglia Pianetti al Comune nei primi del Novecento. Oggi con i suoi circa 110.000 volumi è una delle più importanti della Regione, vi si conservano pregevoli incunaboli e manoscritti, fra cui anche la lettera dell'imperatore Federico II agli jesini.
Palazzo Balleani. È un esempio di barocco locale, venne realizzato a partire dal 1720 su disegno dell'architetto romano Francesco Ferruzzi. Sull'elegante facciata, dagli spigoli arrotondati, è una caratteristica balconata rococò con ringhiera in ferro battuto sorretta da quattro possenti telamoni, realizzata nel 1723 dal ravennate Giovanni Toschini. L'interno colpisce per la ricchezza delle sale con i soffitti dai leggerissimi e raffinati stucchi dorati, eseguiti da diversi artisti, tra cui i decoratori Giuseppe Confidati, Antonio Conti, Marco d'Ancona, Orazio Mattioli e il pittore Giovanni Lanci.
Piazza Federico II. È la storica piazza più importante della città. Tutta racchiusa da edifici nobiliari e dal Duomo. Sorge sul luogo del Foro romano, all'incrocio fra il Cardo e il Decumano massimi. Sono state ritrovate anche le fondamenta degli edifici che la cingevano, come quelle del Teatro, delle Terme e della Cisterna. Dopo le devastazioni barbariche vi sorse la prima cattedrale cristiana di Jesi, forse sulle fondamenta di un precedente tempio pagano. Il giorno di S. Stefano del 1194, sotto un grande padiglione appositamente eretto, nacque l'imperatore Federico II. Per ricordare san Floriano, in età comunale, tutte le genti e i cittadini dei Comuni sottomessi si riunivano ogni anno (il 4 maggio) in questa piazza per rendere omaggio alla città con i propri gonfaloni (detti Palli) e festeggiare il patrono. La festa si chiamò Palio di San Floriano. La conformazione odierna è quella assunta dal luogo durante il XVIII secolo. Chiude la piazza una caratteristica balaustra, realizzata nel 1758 dal bolognese Gaetano Stegani, architetto della Legazione di Urbino. La fontana–obelisco è opera di Raffaele Grilli e di Luigi Amici (artefice delle leonesse).
Palazzo Ripanti. Si estende per tutto il fronte meridionale di piazza Federico II e costituisce un complesso residenziale tra i più vasti della città. Il nucleo originale, risale al XV secolo e venne ampliato succesivamente fino a congiungersi con l'attuale facciata che prospetta sulla piazza. Con l'acquisto nel 1724 dell'adiacente edificio dell'Ospedale di S. Lucia da parte del conte Emilio Ripanti, il vecchio palazzo di famiglia venne saldato alla nuova proprietà. L'ex ospedale fu risistemato soltanto al suo interno, ricavandone un nuovo scalone, il teatro e le sale decorate da Domenico Valeri. Il palazzo venne ampiamente ristrutturato su progetto di Andrea Vici. Il prospetto sulla piazza, in stile tardo-barocco, è munito di ampio portale con balcone sorretto da colonne e presenta tre ordini di finestre con architravi ornati alternativamente da emblemi della conchiglia, del sole nascente e dell'aquila (quest'ultimi due compaiono anche nello stemma di famiglia). All'interno un androne introduce ad uno scalone monumentale decorato con statue dello scultore Giocchino Varlé giunto nelle Marche a seguito del Vanvitelli. La famiglia Ripanti, di antico e nobile blasone, ebbe famosi giureconsulti, scrittori e prelati. Si estinse nella seconda metà del XIX secolo e il palazzo passò allora alla Curia vescovile che lo ha adibito prima a Seminario diocesano e attualmente a sede del Museo diocesano.
Duomo. Dedicato a San Settimio, fu costruito tra il XIII e il XIV secolo ad opera di Giorgio da Como, e rifatto tra il 1732 e il 1741 da Domenico Barrigioni. Della vecchia costruzione rimangono, all'interno, i due leoni-acquasantiere già facenti parte del portale della chiesa. Il campanile , che caratterizza il profilo urbano, è opera del locale Francesco Matellicani, che lo eresse nel 1782-84 ispirandosi a quello vanvitelliano del santuario di Loreto. La facciata, caratterizzata da una serliana, è stata aggiunta nel 1889. L’interno si presenta a navata unica e cupola emisferica, secondo il gusto neoclassico dell'epoca. Durante il XVIII secolo vennero aperte molte cappelle laterali arricchite con dipinti, decorazioni e arredi liturgici volute dai nobili jesini.
Convento di San Floriano. È la chiesa più importante della città sotto il profilo storico e religioso. Infatti fin dal XII secolo fu dedicata al patrono della comunità jesina e qui si svolgevano le più importanti cerimonie pubbliche tra cui, il 4 maggio, la presentazione del Palio da parte dei Castelli di Jesi in segno di sottomissione alla città. Nel 1439 venne presa in consegna dai Frati Minori Conventuali, provenienti dal convento di San Marco, che dal 1478, procedettero ad un rinnovamento interno del tempio medioevale che era a navata unica, orientato in direzione nord-sud, con ingresso sul cortile dell'attuale Palazzo Ghisleri. Negli stipiti della porta d'ingresso sono tuttora visibili alcune pietre intagliate in stile romanico della precedente chiesa medioevale. Fu allora che la planimetria venne modificata collocando l'ingresso verso la piazza, con la creazione di nuove cappelle che ben presto si arricchirono di monumenti sepolcrali ed opere d'arte, tra cui la Deposizione, la Annunciazione e la Pala di Santa Lucia di Lorenzo Lotto, realizzate tra il 1512 e il 1532 ed ora conservate nella Pinacoteca Civica assieme ai sarcofagi e ai bassorilievi che originariamente la adornavano. L'aspetto attuale è frutto del rifacimento avviato nel 1743 nel corso del quale la chiesa e il convento subirono radicali trasformazioni ad opera dell'architetto Francesco Maria Ciaraffoni che ne progettò gli interni e lo scalone. Presenta un grande tiburio e una facciata mai completata. L'interno, a pianta centrale ellittica, è tutto impostato sulla bellissima cupola a base ovale riccamente decorata di stucchi e affreschi con le Storie di san Francesco eseguiti in stile tardo-barocco dal locale Francesco Mancini a partire dal 1851. La chiesa, sconsacrata nel 1860, divenne prima sede della Biblioteca civica, poi della Pinacoteca Comunale e oggi, infine, è sede del Teatro studio Valeria Moriconi, dedicato all'attrice jesina.
Chiesa di San Marco. Sorge poco fuori dalla cerchia delle mura, fa parte di un complesso monastico di clausura. Venne eretta in stile Gotico nel XIII secolo e presenta una facciata tripartita aperta da un ricco rosone in cotto sormontante un portale marmoreo. L'interno è diviso in tre navate da pilastri ottagonali che reggono volte a crociera. Vi si conservano alcuni affreschi trecenteschi, superstiti del ciclo pittorico che originariamente decorava la maggior parte delle pareti della chiesa, che ritraggono il "Transito della Madonna", la "Madonna di Loreto", la "Crocifissione" e l'"Annunciazione". Le pitture murali hanno dato luogo ad alcune difformità di attribuzione, ma i recenti restauri hanno permesso di chiarire la matrice di scuola riminese degli affreschi ricondotti a Giovanni e Giuliano da Rimini e ad artisti di ambito fabrianese. Nel corso dei restauri effettuati il secolo scorso (1854-1859) dall'architetto Angelo Angelucci e dai pittori Silvestro Valeri di Perugia e Marcello Sozzi di Roma, si è provveduto a completare la decorazione della volta e dei sottoarchi, oltre che degli arredi lignei.
Chiesa di San Giovanni Battista. L’edificio risale al XIII secolo, quando si iniziò ad urbanizzare quella parte di terreno, detta di Terravecchia, appena fuori dalla primitiva cerchia muraria. Ricostruita interamente dai frati Apostoliti alla fine del ‘500, nella seconda metà del ‘600 venne ristrutturata e portata a nuova veste dai Padri Filippini, i primi e quasi gli unici ad introdurre il Barocco nelle Marche. Presenta una sobria facciata, ma ha un interno sfavillante di stucchi nella particolare coloritura bianco-oro. Vi si conservano varie opere d'arte, fra cui la preziosa icona del “Sangue Giusto”, affresco del 1333 attribuito a Pietro da Rimini.
Chiesa di San Nicolò. È l'edificio più antico della città di Jesi, documentato fin dal XII sec. Le originali forme romaniche vennero rimaneggiate nel XIV sec. con l’aggiunta di elementi gotici. L’interno, a tre navate absidate, presenta una prevalenza di volte a crociera costolonate sostenute da pilastri compositi; rimandano invece a forme romaniche le navate laterali introdotte da archi a tutto sesto. Degli affreschi realizzati nella prima metà del XVI sec. non rimangono in loco che poche, illeggibili, tracce. Da San Nicolò proviene tra l’altro l’affresco di Pietro da Rimini raffigurante “San Francesco” (1333), oggi conservato alla Galleria Nazionale di Urbino, e L’Icona del Sangue Giusto, oggi conservata presso la chiesa di San Giovanni Battista. Particolarmente originale è la decorazione esterna del complesso absidale che presenta una successione di archetti pensili a goccia. Di estrema semplicità è la facciata a due spioventi al cui centro si apre un portale ad arco senese in marmo policromo e ghiera in laterizio a spina.
Chiesa di Santa Maria delle Grazie, originaria del Quattrocento ma con il campanile del XVII secolo e rifatta del XVIII secolo, custodisce all'interno l'immagine della Madonna della Misericordia, affresco attribuito ad Antonio da Fabriano.
Ex Orfanotrofio femminile, con chiesa annessa, esempio di edilizia "illuminata" della seconda metà del XVIII secolo, dell'architetto romano Virginio Bracci.
Chiesa di San Pietro, di origini medioevali, ricostruita nel XVIII secolo ad opera dell'architetto Mattia Capponi, con facciata coronata da due campaniletti.
Cappella di San Bernardo, già cappella del Palazzo Pianetti "in Porta Valle", con esuberante interno settecentesco ricco di stucchi tipicamente mitteleuropei , recentemente recuperata dopo essere stata adibita a deposito di carbone, ospita periodicamente esposizioni e manifestazioni culturali.
Chiesa di Santa Maria del Piano, ex abbaziale, fuori dal centro storico lungo la strada per Macerata, che conserva all'interno antiche vestigia delle sue origini.
Chiesa di San Savino (resti), di epoca altomedioevale, a poca distanza dalla "nuova" costruita alla metà del XVI secolo.

ORIGINI E CENNI STORICI
Jesi ha origini molto antiche, venne fondata dall'antico popolo degli Umbri; si ritiene sia stata l'ultimo avamposto degli Umbri in territorio piceno. Nel IV secolo a.C. i Galli Senoni, popolazione celtica calata dal nord (Senoni dalla città francese di provenienza Sens), scacciarono gli Umbri e si stanziarono sulla costa orientale dell'Italia, da Rimini ad Ancona, in quello che venne denominato Ager Gallicus. Stabilirono il confine sud del loro dominio sul fiume Esino facendo di Jesi l'ultima roccaforte di difesa contro i Piceni. Vi fondarono "Sena Gallica" (Senigallia) che divenne la loro capitale. Per oltre un secolo si verificarono molti scontri fra i Galli Sènoni e i Romani, finché, a seguito della Battaglia del Sentino del 295 a.C. Roma sconfisse definitivamente i popoli Italici, nel 283 a.C. i Galli Sènoni furono debellati e quindi sottomessi. I Romani stabilirono nel tempo numerose colonie, Jesi nel 247 a.C. venne trasformata nella colonia civium romanorum di "Aesis" e incorporata nella Regio VI Umbria. Nasce così il municipium di Aesis con una struttura urbanistica corrispondente al modello del Castrum, modello sostanzialmente rimasto intatto. La continuità demica da allora, nonostante il susseguirsi delle invasioni, non fu più interrotta. In epoca romana Cupramontana e Planina furono i due centri vicini e rivali di Aesis, ma a differenza di quest'ultima non sopravvissero ai saccheggi e alle distruzioni barbariche. Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 d.C. ad opera dei Goti guidati da Odoacre, Jesi, venne devastata dagli stessi. Qualche anno dopo, nel 493, con la conquista dell'Italia da parte degli Ostrogoti di Teodorico fu distrutta nuovamente. Nel 554 con la Pragmatica sanctio Teodorico è costretto a cedere tutta l'Italia ai Bizantini e così anche Jesi, che poi venne inclusa, con la parte nord delle Marche e parte sud della Romagna, in uno dei sette distretti militari dell'Esarcato di Ravenna, la Pentapoli, costituita nel 585 dall'imperatore Maurizio I. In seguito i Bizantini la eressero a uno dei centri principali della nuova "Pentapoli annonaria" (insieme a Gubbio, Urbino, Cagli e Fossombrone), costituita in contrapposizione a quella "Marittima" (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona), per un maggiore controllo e difesa del territorio interno della regione. Un ulteriore riconoscimento per Jesi fu l'elevazione a Diocesi, come conferma la mensione di un suo vescovo già nel 680. Dal 728 i Longobardi ripresero le invasioni verso le Pentapoli quando infine nel 751, guidati dal re Astolfo conquistarono l'Esarcato e devastarono Jesi. In seguito alle invasioni dei Franchi del 752-754, il loro re Pipino il Breve, conquistò i territori del vecchio Esarcato nel 754, e con l'accordo papale della Promissio Carisiaca li donò all'autorità di papa Stefano II Orsini, creando lo Stato della Chiesa e dando quindi inizio al potere temporale dei Papi. A partire dall'VIII secolo l'azione dei monaci benedettini diede vita, nella valle dell'Esino, ad innumerevoli abbazie. Ma il dispotismo papale portò a una crisi finanziaria, sociale e culturale che spesso sfociò in varie sanguinose rivolte, talvolte viste anche a riportare il dominio dei Longobardi. Solo nel 773 l'esercito dei Franchi di Carlo Magno debellò definitivamente i Longobardi. Ma le rivolte continuarono frequenti, tanto che con l'incoronazione, , di Carlo Magno a Imperatore il 25 dicembre dell'800, Jesi, pur appartenendo alla Chiesa, ricade sotto la giurisdizione imperiale ed entra a far parte della nuova contea della Marca. A partire da questo periodo prende forma la struttura feudale della città. Nel 999 l'Imperatore Ottone III riconsegna alla Chiesa di papa Silvestro II otto contee, tra cui quella di Jesi. Sull'esteso territorio di Jesi sorgevano ben 29 abbazie camaldolesi e benedettine insieme a numerosi possedimenti dei conti di Jesi (gli Attoni, di stirpe longobarda) e quelli di altri piccoli centri. Iniziò così un periodo di profonda crisi e sottomissione. Cominciarono nuovamente le furenti lotte di ribellione delle città più importanti delle Marche interecontro il dominio ferreo pontificio. Le lotte erano così numerose e insistenti che il papa dichiarò, in una bolla, le "Marche" una regione ingovernabile. Nel 1130 Jesi si erge a Libero Comune con un proprio Governo autonomo, Podestà, Consoli e Scuole di Arti e Mestieri che segnò il tramonto del feudalesimo. Segue il momento storico più interessante della città, con l'elaborazione degli Statuti, con la costruzione dei palazzi del Podestà, del Comune e la Cattedrale intitolata a S. Settimio, si fortificano le mura sul tracciato di quelle d'epoca romana. Durante il XII secolo e quelli successivi nobiltà locale, artigiani e commercianti s'allearono fondando la cosiddetta "Respublica Aesina" e cominciarono la conquista del Contado, che sottrassero ai grandi feudatari laici ed ecclesiastici, più conosciuti come Castelli di Jesi. Questa espansione territoriale creò scontri furiosi con i vicini più potenti, fra i primi Ancona, con la quale si susseguirono lunghe e dure lotte di supremazia. Il 26 dicembre 1194 nacque, in una tenda imperiale nella piazza centrale della città, l'antico Foro romano, il grande imperatore Federico II, che donerà a Jesi il titolo di "Città Regia" che sanciva importanti diritti di piena autonomia, grandi privilegi sul dominio del Contado e libertà comunali che neanche la Chiesa, con il suo alterno dominio, poté più togliere. Jesi passò così definitivamente alla fazione ghibellina e le sue fortune politiche saranno legate per anni a quelle di Federico II e dei suoi figli Enzo e Manfredi con l'ottenimento di "privilegi imperiali" seguiti da inevitabili "scomuniche ecclesiastiche". Con la nomina nel 1353 del cardinale Egidio Albornoz a Vicario generale dei domini della Chiesa in Italia, si cercò di ricondurre tutti i comuni e le signorie sotto il controllo, diretto o indiretto, dell'autorità papale e furono emanate le Costituzioni egidiane che regolavano lo Stato della Chiesa. Tra il 1373 ed l'inizio del XV secolo diverse lotte per il potere sconvolgono la regione, portando distruzione e miseria per la popolazione. Nonostante la caduta sotto il dominio papale della Romagna e di Ancona, Jesi, grazie ai privilegi imperiali, riuscì a mantenere l'autonomia della sua piccola Repubblica. Tuttavia in seguito Jesi in seguito fu occupata dal vicario pontificio Filippo Simonetti, da Galeotto I Malatesta nel 1347-51, da Braccio da Montone nel 1408, e da Francesco Sforza, di cui divenne un autentico caposaldo, tanto che nel dicembre 1433 Francesco Sforza invade il territorio marchigiano partendo proprio da Jesi. È solo nel 1447 la Chiesa riuscì a riprendere il controllo comprando le città. Nel 1477 tornò definitivamente sotto il dominio egemonico dello Stato pontificio, pur riuscendo a mantenere qualche diritto sui territori del Contado grazie ai titoli ricevuti da Federico II secoli prima. Intorno al 1470 si diffonde nella Marca d'Ancona una grave pestilenza che decima fortemente la popolazione e nel dal 1471 ricomincia il ripopolamento dezza zona con genti provenienti dall'Emila e dalla Lombardia, numerosi sono i luoghi a loro intitolati, come via dei Lombardi, Costa dei Lombardi, via Fiorenzuola, ecc. La fine del periodo signorile, la fine della peste e la ricomposizione dell'assetto comunale donano al potere centrale un certo equilibrio stabile e avviano dapprima una grande ripresa economica, demografica e soprattutto edilizia della città. A partire dalla seconda metà del quattrocento si modifica profondamente il volto architettonico della città con la costruzione di nuove chiese e palazzi e la progressiva espansione urbanistica fuori dalla cerchia delle vecchie mura. Sono di questo periodo il rafforzamento del sistema difensivo cittadino ad opera del fiorentino Baccio Pontelli, la costruzione su progetto del senese Francesco di Giorgio Martini del Palazzo della Signoria, uno dei più bei palazzi monumentali della Marca. Accanto alla rinascita economica ed edilizia c'è quella culturale: il pittore veneziano Lorenzo Lotto realizza per alcune Chiese della città capolavori assoluti d'arte e spiritualità; Federico Conti da Verona stampa a Jesi nel 1472, una delle primissime edizioni della Divina Commedia e Ciccolino di Lucagnolo, cesellatore raffinato e maestro di Benvenuto Cellini sviluppa e perfeziona l'arte orafa. Verso la fine del '500 l'oligarchia locale, costituitasi ormai solidamente in ceto di proprietari terrieri rivendica a se tutto il potere politico e amministrativo, potere che mantiene fino alla fine del '700. Nel 1797 le truppe napoleoniche porranno fine sia al monopolio nobiliar-papale che al dominio sul Contado. Due riferimenti storici più significativi da segnalare per il secolo XVIII: la trasformazione architettonica ed urbanistica della città e la nascita di Giambattista Pergolesi e Gaspare Spontini, due grandi personalità nel campo della musica che si affermarono in tutta Europa. Nel 1808 con l'annessione delle Marche al Regno Napoleonico, nella cosiddetta Repubblica Romana, Jesi diviene uno dei capoluoghi di distretto del Dipartimento del Metauro. Con la caduta di Napoleone a Waterloo e la succesiva Restaurazione del 1815, Jesi ritornò di nuovo sotto i papi, ma comincia a prendere forma una concezione laica e borghese dello Stato. Nei primi decenni dell'800 inizia a Jesi un graduale processo di industrializzazione con la nascita delle prime manifatture per la seta. Le vicende risorgimentali che condurranno alla unità d'Italia coinvolsero diversi personaggi jesini tra cui il Marchese Antonio Colocci eletto nel 1849 quale rappresentante della Provincia di Ancona all'Assemblea Costituente della Repubblica Romana e poi, dopo l'Unità, quale deputato e Senatore del Regno. Il 15 settembre del 1860 i bersaglieri entrarono a Jesi mentre cinque giorni più tardi, nella vicina Castelfidardo le truppe piemontesi guidate dal generale Cialdini sconfiggono l'esercito papale nella Battaglia di Castelfidardo, sancendo la definitiva unione delle città al Regno d'Italia.

Città natale di Federico II di Svevia (1194) e del compositore Giovan Battista Pergolesi (1710). Fu una delle prime città italiane a istituire una tipografia. Fu qui che Manuzzi modificò i caratteri di stampa, che prima erano in legno, utilizzando il piombo. Nel 1969 è stata sede d'un Convegno Urbanologico Internazionale promosso dall'UNESCO, che l'ha segnalata come "città esemplare" per l'integrazione architettonica dei suoi vari strati storici.

DATI RIEPILOGATIVI

Popolazione Residente 39.224 (M 18.795, F 20.429)
Densità per Kmq: 364,1

CAP 60035
Prefisso Telefonico 0731
Codice Istat 042021
Codice Catastale E388

Denominazione Abitanti jesini
Santo Patrono San Settimio
Festa Patronale 22 settembre

Numero Famiglie 15.450
Numero Abitazioni 16.723

Il Comune di Jesi fa parte di:
Associazione Nazionale Città in Gioco (GioNa)
Associazione Nazionale Città del Vino
Associazione Nazionale Città dell'Olio
Rete delle Città Strategiche (RECS)

Località e Frazioni di Jesi
Castelrosino, Mazzangrugno, San Lucia, Piandelmedico, Tabano, Pantiere di Jesi

Comuni Confinanti
Agugliano, Camerata Picena, Castelbellino, Chiaravalle, Cingoli (MC), Filottrano, Maiolati Spontini, Monsano, Monte Roberto, Monte San Vito, Polverigi, San Marcello, San Paolo di Jesi, Santa Maria Nuova, Staffolo.

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ISTITUTO COMPRENSIVO PARITARIO MAESTRE PIE VENERINI - FANO (PU)
NONNO FIORDO - AZIENDA AGRARIA BIOLOGICA - MONTE SANTA MARIA TIBERINA (PG)
VIVIGAS - MARCHE